Mediante la sentenza n.1467 del 9 febbraio 2018, il Tribunale di Napoli, nella persona del dr. Massimiliano Sacchi, ha statuito importanti principi su varie questioni – oggi ancora dibattute – in tema di accertamenti contabili aventi ad oggetto rapporti bancari di conto corrente. Preliminarmente, il Magistrato si è incentrato sull’onere della prova, gravante sulla correntista in quanto attore del giudizio istaurato onde ottenere l’accertamento negativo del saldo del conto con contestuale ripetizione dell’indebito ex art.2033 c.c..

Sul punto, il Giudice ha accertato che l’attore, da un lato aveva prodotto in giudizio gli estratti conto dei rapporti oggetto di causa, dall’altro aveva esibito la documentazione contrattuale che si era premurato di reperire ex art.700 c.p.c. prima di avviare il giudizio (procedimento instaurato a seguito dell’infruttuosa richiesta formulata dalla correntista ex art.119 TUB). In merito alla documentazione contabile, il Magistrato ha evidenziato l’irrilevanza di taluni “buchi” presenti negli estratti conto e ciò sia in ragione della loro sporadicità, sia perché il CTU, utilizzando i cosiddetti “saldi di raccordo”, era pervenuto a risultanze contabili immuni da significative alterazioni.

Per quanto concerne la dedotta nullità dei contratti bancari “monofirma”, il Giudice ha ritenuto l’eccezione superata a seguito dell’emanazione della nota sentenza della Corte di Cassazione SS.UU. n.898/2018. Peraltro, alcun vizio di forma si era nella fattispecie palesato, risultando, le schede contrattuali, tutte consegnate – in copia – alla società correntista, circostanza desumibile dalla specifica dichiarazione, sottoscritta dalla cliente, riportata su ciascun contratto. In tema di capitalizzazione degli interessi, il Giudice ha dichiarato illegittima la pratica anatocistica posta in essere dalla banca, avendo questa omesso di indicare in contratto – ex delibera CICR del 9 febbraio 2000 – la misura annua effettiva del tasso di interesse.

Peraltro, come rilevato dal G.U., l’illegittimità della capitalizzazione degli interessi non può che travolgere anche la capitalizzazione delle commissioni di massimo scoperto, e ciò ancor di più perché “la delibera CICR legittima l’anatocismo, alle condizioni innanzi richiamate, dei soli interessi e non anche della CMS”. In ogni caso, il Magistrato ha rilevato la nullità della clausola contrattuale disciplinante la cms per indeterminatezza, risultando indicata in contratto unicamente l’aliquota percentuale della prefata commissione ma non anche la base di calcolo e la periodicità di addebito. Peraltro, in contratto “non si specifica se per massimo scoperto debba intendersi il debito massimo raggiunto anche in un solo giorno o piuttosto quello che si prolunga per un certo periodo di tempo o, ancora, se il relativo importo vada calcolato sul complesso dei prelievi effettuati dal correntista”.

Come osservato dal Giudice, la dedotta genericità della clausola non può di certo essere sanata dalla disamina della effettiva modalità di calcolo della commissione desumibile dalla verifica degli estratti conto, “trattandosi di indicazione chiaramente postuma rispetto al momento perfezionativo dell’accordo”. Neppure legittime risultano le commissioni sull’accordato addebitate in conto – in luogo delle cms – a seguito dell’entrata in vigore della legge n.2/2009, essendo stata accertata l’assenza di comunicazione, ex art.118 TUB, dell’intervenuta variazione della disciplina.

Altre importanti questioni approfondite nella sentenza concernono l’eccepita usurarietà del rapporto. In primo luogo, il Giudice ha ritenuto corretto l’operato del CTU (contestato dal CTP della banca) avendo questi considerato affidato il rapporto di conto corrente già prima della data di sottoscrizione del contratto di apertura di credito versato in atti. Sul punto il Magistrato da un lato ha rilevato che la richiamata scheda contrattuale rappresentava una mera conferma di una linea di credito preesistente, dall’altro ha ritenuto provata la natura affidativa del rapporto essendo stata prevista, nel contratto di accensione del conto, l’applicazione della cms, onere comunemente collegato a forme di aperture di credito regolate in conto corrente. Rilevante, in ultimo, è risultata la verifica degli estratti conto, dalla cui disamina sarebbe emersa l’esistenza di un’apertura di credito già in epoca antecedente alla data di sottoscrizione del contratto di affidamento.

Altra questione di grande rilevanza risolta dal Magistrato napoletano concerne la classificazione del rapporto per effetto della revoca della linea di credito. Secondo il dr. Sacchi, “è evidente che l’avvenuta revoca dell’affidamento non consenta, in presenza di un conto pacificamente affidato, di ricondurre il rapporto ad una categoria – quella degli scoperti senza affidamento – per la quale i decreti ministeriali prevedono un tasso soglia significativamente maggiore. Diversamente opinando si finirebbe, invero, con l’eludere l’osservanza della legge in tema di usura, stravolgendosi, tra l’altro, la natura del rapporto, che non cessa di potersi qualificare – ai fini della verifica del TEG – come affidato, solo in ragione della revoca medio tempore disposta dall’intermediario”. In merito alla natura del rapporto – conto di corrispondenza ovvero conto anticipi – e quindi ai “tassi soglia” da utilizzare onde espletare le verifiche ex legge n.108/1996, il Magistrato, rilevata la neutralità del contratto sul punto, ha ritenuto – ex art.115 c.p.c. – di dover confermare l’incontestata allegazione di parte attrice, secondo cui il rapporto in questione rappresentava un conto anticipazioni (soggetto, quindi, a limiti usurai inferiori a quelli vigenti per un conto di corrispondenza). Solo ad abundantiam il Magistrato ha rilevato che il CTU aveva osservato che le movimentazioni del conto erano tipiche di un conto anticipi.

In ultimo, l’accertata usurarietà dei tassi in concreto praticati dalla banca in corso di rapporto configura sempre, secondo il Giudice, “usura genetica” da sanzionarsi ex art.1815 c.c., trattandosi di fattispecie non riconducibile a quella oggetto della nota sentenza della Corte di Cassazione SS.UU. n.24675/2017, sentenza che ha statuito l’irrilevanza giuridica della cosiddetta “usura sopravvenuta”. Secondo il Magistrato, “al riguardo si deve evidenziare che l’applicazione dell’apparato concettuale dell’usura sopravvenuta (inapplicabilità degli artt. 644 c.p. e 1815 co. 2 c.c.) al caso delle linee di credito ad utilizzo flessibile (quali sono appunto le aperture di credito in conto corrente, gli anticipi su crediti e sconto di portafoglio commerciale, il factoring e il credito revolving) desta notevoli perplessità, visto che: la rilevazione trimestrale del TEGM riguarda tutti i rapporti aperti; la verifica di usurarietà deve rinnovarsi di trimestre in trimestre, per cui la banca è tenuta ad adeguarsi alle norme non una tantum, ma continuativamente, ed è normalmente anche in grado di evitare che il costo del credito superi la soglia pro tempore: 1) o attraverso l’applicazione – che deve essere effettiva – di clausole di salvaguardia; 2) o attraverso una manovra sui tassi e le condizioni economiche, di cui normalmente si riserva il potere (cfr. 118 TUB).

Affermare quindi che gli artt. 1815 co. 2 c.c. e 644 c.p. si applichino soltanto al primo trimestre, perché la legge 24/01 ha stabilito che la verifica di usura si faccia al momento della pattuizione, e che per tutti gli altri trimestri non operi il presidio della sanzione penale, è conclusione che potrebbe condurre ad effetti contrari alla ratio del sistema in quanto, per un verso, azzera il presidio penale e, per l’altro, rende irrilevante quello civile. E’, quindi, ragionevole sostenere che, sui trimestri successivi, la verifica d’usura debba essere fatta – ed è sempre usura genetica – perché l’art. 644 c.p. colpisce anche il «farsi dare»”. In sintesi, secondo la tesi del Magistrato partenopeo, tesi che trova conforto anche nei chiarimenti forniti dalla Banca d’Italia con nota del 3 luglio 2013, l’applicazione – nell’ambito dei rapporti di affidamento regolati in conto corrente (cd. linee di credito ad utilizzo flessibile) – di tassi di interesse eccedenti la soglia di usura configura sempre “usura originaria” da sanzionarsi, ex art.1815 c.c., mediante l’azzeramento di qualsiasi competenza maturata a debito del correntista nel trimestre di accertato sconfinamento.

L’innovativa tesi del Magistrato partenopeo appare certamente condivisibile per molteplici ragioni. In primo luogo, trattasi di un principio che da un lato valorizza la ratio della normativa antiusura, dall’altro enfatizza – come mai prima d’ora – il momento della dazione. Ma ciò che, a parere di chi scrive, ha assunto carattere dirimente ai fini delle conclusioni rassegnate dal Magistrato è certamente l’assoggettamento dei rapporti di affidamento in c/c alla rilevazione trimestrale del TEG non unicamente nel trimestre di accensione, ma anche in quelli successivi (rilevazione operata ai fini dell’individuazione del TEGM da trasmettere alla Banca d’Italia per la fissazione della soglia d’usura pro tempore vigente); circostanza che non può che condurre a censurare fermamente il comportamento dell’istituto di credito nell’ipotesi in cui, accertando il superamento della soglia d’usura trimestrale, non ponga in essere interventi correttivi volti a ricondurre il tasso praticato entro i limiti posti dalla legge n.108/1996. Insomma, le fattispecie come quella in esame (tradizionalmente qualificate come “usura sopravvenuta”), che in passato venivano sanzionate in maniera assai blanda (ovverosia mediante la riconduzione del tasso di interesse alla soglia di usura), secondo la tesi del dr. Sacchi non possono sfuggire alla disposizione sancita dall’art. 1815 c.2 c.c., in quanto l’operatore creditizio non può sottrarsi all’adozione di manovre correttive sul tasso avendone accertato l’esubero rispetto al limite usurario.

 

Fonte: ildenaro.it