Il fenomeno dell’usura è storicamente legato ad un rifiuto di ordine morale e religioso, in un periodo storico durante il quale era inammissibile che si pretendessero degli interessi, a fronte di erogazione di prestiti.
Oggi, il principio è ovviamente sovvertito a vantaggio di una fondamentale idea che impronta di sé il fenomeno delle obbligazioni pecuniarie, ossia quella della fecondità del denaro: ciò nonostante il nostro ordinamento ha recepito un certo grado di riprovazione sociale verso le condotte usurarie che raggiunge il suo culmine nello schema della tutela giuridica descritta dagli articoli 644 c.p. e 1815 c.c.
La normativa sull’usura
Dal 1996, è integrato un comportamento illecito allorquando si pretendano interessi usurari, senza che sia all’uopo necessaria un’indagine sul cd. stato di bisogno del soggetto finanziato: mediante il parametro del tasso soglia, la valutazione è infatti ancorata a criteri obiettivi e determinati. Sotto il profilo penalistico, trattasi di un reato-contratto, giacché l’accordo integra la fattispecie penalmente rilevante.
Ciò nonostante, nella prassi è stata minata la certezza del diritto ed in modo particolare i contrasti più rilevanti sono emersi in relazione ai contratti geneticamente leciti, sui quali ha poi inciso la caduta dei tassi medi di mercato, che sono alla base del meccanismo legale di determinazione dei tassi usurari (ai sensi dell’art. 2 L. 108/1996, sulla rilevazione trimestrale dei tassi medi praticati per le varie categorie di operazioni creditizie, sui quali viene applicata una determinata maggiorazione). Lo stesso dicasi per le pattuizioni antecedenti alla L. 108/1996, per le quali dunque non era affatto vigente una normativa anti-usura.
Si è tentato di chiarire e, dunque, di risolvere il problema, mediante una legge, la 24/2001 che all’articolo 1 prevede che si intendono usurari gli interessi al momento in cui sono convenuti, indipendentemente dalla loro dazione. Solo apparentemente, e solo in parte, la questione può dirsi realmente risolta, alla luce di questa norma di interpretazione autentica.
Infatti, con questa norma può escludersi l’applicabilità dell’art. 1815 comma 2 c.c. per le ipotesi di cd. usura sopravvenuta, ma non si esclude la possibilità di individuare rimedi alternativi che possano comunque tutelare il mutuatario, come ad esempio la previsione automatica di un tasso sostitutivo di quello divenuto medio tempore usurario (tasso soglia).
La nota sentenza delle sezioni unite della Cassazione, n. 24675/2017, in commento, ha escluso la configurabilità dell’usura sopravvenuta, ancorandosi all’interpretazione autentica degli articoli 644 c.p. e 1815 c.c. e richiamando a tal uopo la pronuncia della Corte Cost. 29/2002.
Va da sé che sanzionare con la nullità fattispecie contrattuali geneticamente lecite avrebbe dato luogo ad un cortocircuito, atteso che non è contemplata nel nostro ordinamento la possibilità di una nullità sopravvenuta che, di contro, è sempre coeva all’atto negoziale.
Rapporto con le clausole generali del rapporto obbligatorio
Un altro tema che la sentenza ha inteso affrontare è stato quello della possibile operatività delle disposizioni concernenti l’obbligo delle parti di adempiere il pattuito regolamento negoziale in base a buona fede oggettiva e correttezza.
Secondo una consistente parte della dottrina, infatti, il principio di solidarietà rivenuto nell’art. 2 della Costituzione, imporrebbe al mutuatario il divieto di pretendere tassi sopra soglia, quandanche la pattuizione fosse stata illo tempore lecita. Questa interpretazione è rimasta altresì la più accreditata nell’alveo della giurisprudenza dell’Arbitro Bancario e Finanziario della quale basti segnalare, più di altre, la pronuncia del Collegio di Coordinamento n. 1875/2014 : “Non corrisponde al principio di solidarietà il non chiamare il soggetto finanziato a partecipare del vantaggio economico conseguente alla discesa dei tassi d’interesse: l’intermediario che si rifiuta di portare i tassi concordati al di sotto della soglia di usurarietà non si adegua al canone di buona fede contrattuale ed in ciò risiede l’antigiuridicità della sua pretesa”. Teoria consolidata, tanto da essere evocata fino al mese di luglio 2017 (Collegio di Napoli, n. 9063), l’ultima cioè prima dell’ importante arresto delle Sezioni Unite della Cassazione.
Il massimo plesso della nomofilachia coglie nel segno quando sottolinea che il criterio di integrazione del contratto rileva ai fini dell’esecuzione del contratto stesso, senza che dunque possa dirsi scorretta la pretesa di interessi, corrispondente ad un diritto validamente riconosciuto dal contratto. In questo senso rileva una sostanziale suddivisione fra norme di validità e norme di comportamento, già precedentemente invocata dalle Sezioni Unite con riferimento alla categoria della cd nullità virtuale (Cass., Sez. Un. 26724/2007). Inoltre, deve essere ricordato giustamente che, il principio di solidarietà impone il rispetto dei precetti di correttezza e buona fede oggettiva, nei limiti di un apprezzabile sacrificio degli interessi personali delle parti.
Rapporto con l’eccessiva onerosità sopravvenuta
Pertanto, se le parti hanno stipulato un contratto secundum lege, non può poi imporsi l’assoggettamento al tasso soglia, trattandosi comunque di un regolamento negoziale che, da un punto di vista genetico, è pacificamente lecito. A maggior ragione, se le parti hanno stipulato un contratto di mutuo a tasso fisso, accollandosi il rischio della variazione dei tassi di mercato.
Da ciò ne deriva che, anche la strada della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta sia tortuosa ed irta di ostacoli: se è pur vero che il rimedio di cui al 1467, è di natura funzionale e non genetica, è altrettanto vero che uno dei requisiti necessari per la sua operatività è quello descritto dal comma 2, in base al quale la risoluzione non può essere domandata se l’onerosità sopravvenuta rientra nell’alea normale del contratto. In quest’ottica, la “normale” variabilità delle condizioni, perlomeno quelle che esulano dalla stretta volontà delle parti, non può incidere sulla libera contrattazione e non può provocare conseguenze imprevedibili al momento della stipulazione che, per altro verso, potrebbero comportare un’eccessiva onerosità sopravvenuta per la banca che si era legittimamente affidata sulla fruttuosità economica dell’operazione di mutuo in base ad una clausola di statuizione degli interessi valida e lecita.
In definitiva, la definizione di usura è quella che ci perviene da due norme dell’ordinamento: l’art. 644 c.p. e l’art. 1 della l. 24/2001. Ne deriva la necessità che TEGM e TEG contrattuale siano fra loro in simmetria, per evitare situazioni inique. Il tutto con un parametro di riferimento inequivocabilmente fornito dalla su evocata norma di interpretazione autentica, allorquando fa riferimento agli interessi promessi o comunque convenuti.
Rapporto con gli interessi moratori
Tuttavia essa apre il varco ad un’altra problematica frequente nella prassi, nel momento in cui chiarisce che gli interessi rilevanti per l’applicazione della normativa anti-usura sono quelli promessi o convenuti a qualunque titolo. Con ciò presupponendone l’operatività anche per gli interessi di mora. A sostegno di questo orientamento, si invoca l’art. 2 della stessa legge che dispone: “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, […] sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 del codice civile, dell’art. 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della l. 108/96″.
Da tal disposizione, si può ben comprendere come tutti i costi connessi all’erogazione del credito rientrino nella tutela della normativa anti-usura, il che è confermato anche dalla recente giurisprudenza che, ad esempio, ha chiarito come anche i costi di assicurazione debbano essere computati al fine di verificare il rispetto della soglia: in questo modo, in altri termini, tutte le voci del carico economico applicate dal contratto sono rilevanti (cfr. Cass. 8806/2017 sotto allegata).
Tornando agli interessi moratori, pacificamente oggetto di valutazione in ordine al superamento del tasso soglia (come autorevolmente affermato da Cass., 350/2013), è erronea la prassi di impostare il tema dei rapporti fra usura ed interessi moratori, adducendo la possibilità di una sommatoria degli stessi con gli interessi corrispettivi. Solo un’errata lettura della menzionata sentenza (più di recente Cass., ord. 4/10/2017 n. 2319) potrebbe condurre ad ammettere una sommatoria dei tue tassi che, tuttavia è incompatibile con il dettato normativo e con l’evoluzione giurisprudenziale. Anzitutto per una ragione di carattere ontologico-funzionale: mentre il tasso di mora funge da penalità per ritardato pagamento, il tasso corrispettivo rappresenta la remunerazione del godimento del capitale, sicché il primo, rientrando nel novero delle prestazioni accidentali ed essendo privo del carattere corrispettivo, viene in rilievo solo nell’eventuale fase patologica del rapporto, come conseguenza dell’inadempimento del debitore (Trib. Treviso 9/12/2014).
Inoltre, è inammissibile una sommatoria aritmetica dei due tassi posto che essa porterebbe a computare due volte gli interessi corrispettivi perché di regola il tasso moratorio è determinato dal corrispettivo, aumentato di una maggiorazione pattuita in contratto. Del resto è la stessa Banca d’Italia che, consapevole delle differenze funzionali suddette, opera due distinte rilevazioni. Tale impostazione è ancor più convincente allorquando è contrattualmente previsto che l’applicazione dell’interesse moratorio sia prevista come sostitutiva rispetto all’interesse corrispettivo (ABF Napoli 13/01/2014; sul tema, si veda anche Trib. Trani, ord. del 10.3.2014, sotto allegata, che addirittura parla di un errore di carattere logico e giuridico).
Infine, resta da evidenziare un ulteriore dibattito concernente gli interessi di mora: ci si chiede se il loro superamento (ribadendo che essi non vanno sommati agli interessi corrispettivi) provochi la nullità della sola clausola che li abbia determinati (con la conseguente necessità di pagare i tassi corrispettivi infra-soglia) ovvero la conversione dell’intero contratto di mutuo da oneroso a gratuito. Senza pretese di esaustività, lo scrivente ritiene che si possa aderire a quell’orientamento conforme alla seconda delle due prospettazioni summenzionate, essenzialmente per due ragioni, l’una storica, l’altra teleologica. Infatti, basti ricordare che, prima dell’entrata in vigore della normativa anti-usura, il 1815 comma 2 non aveva alcuna forza deterrente in quanto prevedeva che in caso di interessi usurari essi si riducevano automaticamente al tasso legale. Data la volontà di reprimere la condotta illecita integrante l’usura, con la nuova formulazione non solo si sanziona con la nullità la relativa clausola di statuizione degli interessi, ma il legislatore richiama in maniera univoca e chiara un’altra conseguenza nel momento in cui aggiunge che non sono dovuti interessi. Dunque, se avesse voluto colpire solo gli interessi di mora usurari, in presenza di leciti interessi corrispettivi, avrebbe potuto semplicemente evocare la nullità della relativa clausola; ma, se è stata assunta la gratuità del contratto, allora deve ritenersi questa la normale conseguenza ai sensi del 1815 comma 2, peraltro più in linea e conforme alla stessa ratio legis.
Fonte: Studio Cataldi